PERSONAGGI IN VETRINA

COSENZA K42

ALDO “EL GRINGO” CARBONE

CLASSE: 1985

SETTORE: MASTER

Profilo basso, ghigno smorzato e una grinta devastante sono i segni distintivi impressi sul documento sportivo di Aldo El Gringo Carbone, il ‘man running’ maggiormente identificabile con le prerogative riconducibili alla K42. La linea di condotta repulsiva ad ogni ostentazione tenuta da Aldo, si plasma fin dai tempi del Cosenza Calcio, dove da giovanissimo portiere forgia tecnica e carattere all’ombra di Zunico ed Agliardi. La sua tempra di ghiaccio affiora già dalla categoria Allievi quando in un Napoli – Cosenza il figlio spurio di Maradona, emulando il più noto Diego, dribbla mezza squadra ed entra in area sferrando un bolide per un sicuro euro goal. L’imperturbabile volo plastico del guardiano rossoblù, ricaccia però in gola l’urlo di gioia allo scugnizzo partenopeo. Nel 2003 il talentuoso pipelet Carbone è nella rosa della 1^ squadra, ma le vicissitudini societarie dell’epoca ne frenano il definitivo decollo nel calcio che conta. Riparte dalla serie D, ma nel frattempo s’insinua in lui il dubbio su quella dimensione che ormai sente non appartenergli più e con l’esperienza d’estremo baluastro depone per sempre nel baule dei ricordi, guantoni e sogni di gloria. L’indole endurance che serpeggia nell’animo run di Aldo, lo conduce qualche anno più tardi al triathlon e da lì all’incontro fulminante con l’atletica. Le qualità in pectore insite in El Gringo l’hanno fatto in breve tempo assurgere in città, suo malgrado, a simbolo di un intero movimento. Chilometri e chilometri macinati su asfalto, pista e sterrati country in giro per l’Italia, riassegnano ad Aldo Carbone una notorietà, se pur circoscritta al settore, che ripiana in parte quanto sottrattogli in gioventù da un football nostrano in decadenza. L’atletica calabrese ne ha tratto vantaggio, reclutando uno dei suoi principali protagonisti degli ultimi anni. Da parte sua la K42 benedice il fato, tenendosi stretto il suo portiere corridore dal cuore grande come il sole.

ANDREA PRANNO

Un destino indotto per conduzione familiare. Se fosse possibile tratteggiarne l’effigie con una sequenza filmata, presumibilmente il primo fotogramma aprirebbe l’immagine di una sagoma indefinita in controluce di un bimbo infilato dentro un paio di calzoni corti aggrappato alla mano del papà, grande due volte la sua. L’intento di supplire al sotto dosaggio motorio somministrato dalla didattica dell’Elementari Giovanni Falcone di viale parco a Cosenza, spinge papà Paolo a coinvolgere all’età di sette-otto anni il suo biondissimo secondogenito nella propria passione per la corsa. Una pratica, quella di partecipare alle gare podistiche baby locali, fatta più che altro per gioco e che non entusiasmava poi più di tanto il piccolo Andrea Pranno. Inizia così, in giro per i paesini dell’hinterland cosentino, il cammino verso l’agonismo sportivo di una delle massime espressioni del mezzofondo prodotte dall’atletica leggera calabrese. A quel bivio post adolescenziale sulla strada da imboccare per il futuro, che la vita puntualmente presenta a tutti, Andrea ci arriva già plasmato. Terminati gli studi dell’obbligo, non un dubbio, nessuna perplessità. Anche lo sbocco professionale ne è impregnato: lauree in scienze motorie, fisioterapia e management dello sport. La scintilla vera e propria scocca con le campestri scolastiche nel 2006 a Villapiana Lido (CS). Arriva 9°. Corre bene. Lo notano. Sofferenza, affanni e il sudore acido negli occhi secernano un gusto che calza con il suo carattere. La Marathon Cosenza la sua prima società, con la quale affronta la prima trasferta nazionale a Villa Lagarina, vicino Trento, partecipando ai campionati italiani allievi di cross. Da Junior prima esperienza fuori casa: si trasferisce al GS Orecchiella Garfagnana di Castelnuovo (LU). Nel 2009 rincasa a Cosenza, ma il contesto tecnico non gli aggrada e cambia aria. E cambia pure marcia col nuovo coach Maurizio Leone, che diventerà il suo mentore e durante i tre anni di categoria promesse svolti in Sardegna, all’Atletica Civitas Olbia, muta dimensione. Nel 2012 è vicecampione italiano under23 sui 5000 metri e anche sui dieci km su strada. A dicembre dello stesso anno è convocato in nazionale ai Campionati Europei di Cross di Budapest. L’anno dopo ritorna in Toscana, sponda GP Parco Alpi Apuane del presidentissimo Graziano Poli, e a fine luglio all’Arena Civica di Milano sfiora il podio sui 5000 metri ai Campionati Italiani Assoluti. Ad aprile 2014 si aggrega negli Stati Uniti, in New Mexico, con la nazionale italiana di La Rosa e Meucci. Nel 2016 è l’atleta di punta ai Campionati Mondiali Universitari di Cross a Cassino (FR). A marzo viene convocato dalla Fidal nazionale al raduno mezzofondo di Monza. Tra i suoi migliori crono vanta 8’14’’ sui 3000 metri, 14’05’’ sui 5000 metri, 29’45’’ sui 10000 metri e 1h06’33’’ sulla mezza maratona. Dopo 5 anni trascorsi tra le fila dei biancoverdi Lucchesi, nel 2018 rientra in Calabria e sposa un nuovo e ambizioso progetto targato K42, diventandone bandiera e simbolo.

CLASSE: 1990

SETTORE: GIOVANILE

PANETTA, LEONE E L’ATLETICA BELLIGERANTE

ANNI ’90

PANETTA E LEONE

ANNI ’90

PANETTA E LEONE

Un celebre filosofo-economista tedesco dell’ottocento, nella prefazione di un suo trattato poneva il quesito: “È l’essere sociale che determina la coscienza, oppure è la coscienza che determina l’essere sociale?”. Le argomentazioni sviluppate dall’autore a sostegno delle sue tesi, tendevano ad avvalorare la prima ipotesi. Un secolo dopo, in due lembi opposti di terra calabrese, agli inizi degli anni ottanta e poi dei novanta, quell’assioma, convenuto per lungo tempo da certa intellighenzia raffinata, fu sconfessato in ambito sportivo. Storicamente la capacità produttiva di un territorio condiziona il tessuto sociale in cui agiscono gli individui, influenzandone inevitabilmente modo di essere e di pensare. Quando il primo giorno di gennaio del 1977 a Siderno Marina si confrontarono, in modo del tutto inconscio, in un’anarchica marcialonga di paese, due talentuose acerbe vigorie fisiche predestinate ad essere calamitate dall’atletica d’endurance, quel principio socio economico si arricchì di un’inedita variabile. Se le Adidas sl 76 regalate da Giuseppe Panetta al figlio quattordicenne, sdoganarono il divenire di un ragazzo destinato con buona probabilità in età adulta alla produzione artigianale di leccornie, proiettandolo nel mondo dello sport professionistico, nessuna casualità di contro agevolò l’inclinazione di Benito Belligerante, l’indomito antagonista di Francesco Panetta durante la sua prima gara della vita. Il susseguirsi di scatti e accelerate nel tratto finale della competizione, asserì che quei luoghi avevano partorito contemporaneamente ben due talenti della corsa. Il più astuto tatticamente spiccò il volo verso una nuova dimensione, atterrando a diciotto anni sotto il cielo annebbiato di una città importante, il più assoggettato dal bisogno restò sulle sponde dello Jonio ad annodare ferro nei cantieri edili, dissolvendo così quel talento che li accumunava. Due lustri più tardi, su suolo bruzio, un altro cavallo di razza dall’istinto country, identificato sotto una scorza da calciatore, venne catapultato dalla testa delle corse studentesche, all’ovale in tartan cittadino. La mattina del 1 novembre del 1991 Ernesto Leone imboccò l’autostrada con la sua Fiat uno fire bianca, velocizzata dalla quinta marcia appena installata e un tarlo in testa. Seduto sul lato passeggero il suo secondogenito appena maggiorenne, da affidare al gruppo sportivo del corpo forestale dello stato della capitale. Probabilmente gli sbalordimenti e le sensazioni provate da Maurizio Leone dopo l’assegnazione all’imbrunire di scarponi, branda e armadietto, non si discostarono molto da quanto patito dieci anni prima da Francesco Panetta, accovacciato su un gradino di un portone in via Bassini a Milano, ad aspettare istruzioni su dove andare a dormire. Metabolizzati aldilà dei vetri delle nuove dimore gli insoliti scorci d’orizzonte, a medicare la distanza affettiva, un pugno di gettoni e una cabina telefonica. Un distacco precoce che avviò nella psiche dei due top calabri, processi emozionali così forti e tempranti da moltiplicarne caparbia, testardaggine ed agonismo belligerante, tanto da stampargli in faccia un perenne ghigno tipo nota segnaletica. Sviluppata la carriera agonistica da runners d’élite, ognuna tarata sulla propria cilindrata, l’intensità di quel vivere perpetuamente col cuore in gola aveva accelerato un processo di maturazione interiore, aggrovigliato da un caos d’emozioni ritmate dal ticchettio di un cronometro. Vent’anni da fermare il tempo. Vent’anni d’immortalità. Ammainate le vele della notorietà, s’avvinghiò su Leone un richiamo viscerale che lo attirò al natio tetto sgombro dal grigio monossido di carbonio padano, mentre già Panetta commentava in tv l’atletica noir, nel senso cromatico del termine. L’essenza del postulato del filosofo tedesco quando coglie non ha scadenza, marchia, impregna, pompa il sangue a mille. Se non si è ancora giunti nella fase della meditazione in pantofole, chi ha vissuto quel tipo di stagioni ad alto voltaggio nella propria vita, agisce ostinato perché si sente in dovere di restituire un dono ricevuto tentando di creare un modello replicabile, calibrato alle new generation, capace di risvegliare gli impulsi ancestrali del movimento umano. Mission impossible in terra di Calabria? Per Francesco Panetta e Maurizio Leone non è stato così. La ricerca oggi è attiva ed orientata ad intercettare e tramutare potenziali campioni d’aperitivo in esseri coscienti, a cui marcare un tatuaggio emotivo indelebile, accendendo in loro l’istinto innato della corsa.

BRUNELLO, IL GIGANTE BUONO DEL CAMPO SCUOLA

Bruno Giordano a Cosenza è l’emblema dello sport. Responsabile del Campo Scuola Coni di via degli Stadi nonché suo massimo “vigilantes”, riceve in eredità dal padre la mission di custodirne l’efficienza. L’impianto è ritenuto fin dagli anni sessanta vero e proprio giardino dell’atletica. Omonimo e coetaneo del centravanti “spacca reti” di Lazio e Napoli di qualche decennio fa, Brunello vanta trascorsi agonistici multidisciplinari dal 1974. La pallavolo la sua grande passione. Schiacciatore posto 4, compie con la Milani tutto il percorso dal campionato di Promozione alla C1, per poi passare alla Pallavolo Cosenza sempre in C1. Dall’88 all’89 è uno dei maggiori trascinatori della Volley De Luca di Amantea (CS), vivendo nella cittadina tirrenica una delle sue migliori stagioni. Ma le recondite e istintive pulsioni pallonare lo convincono a dividersi tra volley e calcio. Sul finire degli anni ottanta concorre alla scalata della Sambucina, poi Luzzese, dalla 3^ alla 1^ categoria. Sempre in 1^ categoria, concede prestazioni da arcigno marcatore esterno anche nella vicina Marano, prima Marchesato e poi Principato. A 32 anni dice stop con il calcio per continuare solo con la pallavolo. Ritorna a Cosenza per chiudere l’attività agonistica nel volley a 38 anni. Depositario di segreti e aneddoti di tante star e comparse passate per anni dalla pista in terra rossa collocata nel quartiere popolare più incline allo sport della città, Brunello è ritenuto oggi, a ragion veduta, la memoria storica dell’atletica cosentina e non solo. Fin dalla sua fase embrionale, incoraggia e guida gli ideatori della K42, diventandone poi uno dei pilastri dirigenziali. Chiunque varchi oggi il cancello del Campo Scuola Coni di Cosenza, avverte come una sensazione di trascendente leggerezza. Un posto speciale dove sentirsi scevro dal peso della vita. La presenza discreta di un Gigante Buono ne garantisce ogni giorno la tutela dei suoi avventori.

BRUNO GIORDANO