Per raggiungere grandi risultati nello sport, bisogna allenarsi duramente, rispettarsi l’un l’altro, lavorare in squadra e onorare la propria terra d’origine. Lo sanno bene i ragazzi di Bekoji, cittadina dell’Etiopia centrale, situata nella regione di Oromia, 17000 abitanti, 2810m di altitudine sul livello del mare, distante 220km dalla capitale Addis Abeba. Una moltitudine di strade sterrate all’interno della città che vedono sprofondare nelle pozzanghere i carretti trainati dagli asini, oppure scappare le galline inseguite dalla polvere nei giorni secchi del vento. Nei dintorni un paesaggio apparentemente arido ma in realtà incredibilmente fertile, dove crescono semi oleosi, caffè, spezie, canna da zucchero, cotone, cereali, ma soprattutto una sorta di luogo “sacro”, dove Coach Sentayehu Eshetu, ex calciatore di “periferia”, ha costruito la sua base operativa, un piccolo regno impreziosito da un firmamento di stelle sfavillanti, emerse come d’incanto dalle vallate che solcano questa sperduta terra del Corno d’Africa! Il quartier generale è una capanna, adibita ad ufficio, apparentemente buia e polverosa, ma illuminata dalle gesta leggendarie di alcuni tra i più grandi mezzofondisti di sempre, impresse nelle foto affisse sulle umili pareti, immagini indelebili di una storia che non conosce lo scorrere del tempo.

Un infinità di medaglie Olimpiche e titoli mondiali, tra cross, strada e pista, ad iniziare da Kenesisa Bekele e suo fratello Tariku, per proseguire con Tiki Gelana, Mestawet Tufa e le formidabili sorelle Ejegayehu, Tirunesh e Genzebe Dibaba, per tornare indietro nel tempo con la leggendaria Derartu Tulu, vincitrice nei 10000m ai Giochi Olimpici di Barcellona nel 1992 e otto anni dopo a Sidney, per finire con Fatuma Roba campionessa Olimpica di Maratona nel 1996 ad Atlanta, trionfatrice con il più ampio distacco della storia. Coach Sentayehu, come amano chiamarlo dalle sue parti, è un ometto sempre sorridente, che parla poco, anzi direi che parla in “silenzio”, quando afferma che i successi dei suoi atleti non sono frutto di nessuna magia: “Ascoltano i miei consigli, si allenano sodo, e mangiano bene…tanto orzo!” Cinque volte alla settimana, tanti giovani tra i 12 e i 20 anni, attraversano di corsa le stradine rosso ocra della città, provocando una mini tempesta di polvere, tra baracche ondulate, macerie e camion parcheggiati a caso, per essere puntuali all’incontro con il loro mentore.

I luoghi di allenamento sono piuttosto primitivi, dai percorsi disegnati virtualmente nei prati e nei boschi di eucalipto con pendenze che spaccano gambe e polmoni, oppure il “diversamente” stadio di Bekoji con una sponda erbosa per gli spettatori e un piccolo campo da calcio nel mezzo, circondato da una rudimentale pista di atletica in terra battuta e senza corsie, dove dopo la stagione delle piogge, i ragazzi e le ragazze si organizzano puntualmente per ripulire il terreno dalle piante cresciute vigorosamente, lavorando a mani nude, con pochi attrezzi, al massimo una zappa o una vanga, e trasportare le erbacce con sacchi di tela, sprovvisti di una carriola e di qualsiasi altro mezzo utile, ma assistiti da una forza di volontà e una passione encomiabili. Per troppi anni il resto del mondo ha ignorato le imprese di questo grande uomo, e finalmente nel 2012 una troupe di documentaristi britannica recatasi a Bekoji, ha registrato e prodotto uno splendido film dal titolo Town of Runners, raccontando la storia di alcuni adolescenti che ogni giorno all’alba corrono per le strade recandosi alla consueta seduta di allenamento con Coach Sentayehu. Perché così tanti ragazzi in tenera età? Il running come mezzo di evasione e trascendenza, una via d’uscita e di riscatto dalla miseria, l’unica a portata di mano, ecco perché per molti bisogna almeno provarci.

Ogni giorno i genitori chiedono all’allenatore di formare i propri figli, e lo stesso afferma: “I bambini vogliono correre per rendere felici i loro genitori, e i genitori vogliono che corrano in modo che non debbano lavorare la terra” – “Non sempre riescono a diventare campioni, a volte falliscono, ma non è mai tempo perso”. Qui, gli atleti sono ragazzi di campagna che non dispongono di attrezzature per allenarsi, non conoscono il lusso di palestre e impianti occidentali, ma si allenano sulla nuda terra. L’allenamento solitamente scorre per quasi due ore, spinto dall’enfasi dei tanti esercizi di allungamento e ginnastica proposti con preciso sincronismo, da un tecnico scrupoloso e a volte “spietato”: “Su, su, su…” grida il Coach, mentre gli atleti sollevano le gambe sempre più in alto, battendo i piedi a terra con un tempo perfetto, come su un tamburo, interrompendo a tratti il silenzio travolgente della Great Rift Valley.

Terra rossa, cielo blu, savana verde, montagne in lontananza e odore di eucalipto ovunque, “è il migliore” dicono, e lui sornione risponde di non vedere l’ora di prendersela comoda, perché gli anni passano, ma teme che un giorno non saprà cosa fare del suo tempo. Un desiderio? “Non ho mai avuto modo di osservare da vicino i miei maratoneti negli allenamenti più lunghi, mi piacerebbe comprare una moto per seguirli, ma non posso permettermelo”. Coach Sentayehu una leggenda in Etiopia, innamorato della sua terra come nessun altro, dimostrazione tangibile di un affetto profondo, di un legame inscindibile nonostante le tante lusinghe di palcoscenici più prestigiosi, la sua è una scelta di vita, un vero e proprio atto d’amore: ”Correre da queste parti è l’unica speranza per emergere, qui manca tutto, anche le cose più semplici, come un paio di scarpe da corsa”.

Autore: admin

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